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I tormentoni dell’apocalisse. Playlist

a volte qualcuno mi accusa di non conoscere la musica italiana recente (va detto però che questo non avviene nella realtà che conosciamo: nessuno mi accusa di niente, è solo una mia invenzione per introdurre questo discorso), dunque rispondo con delle hit, delle mine droppate in italia – spero di usare correttamente il linguaggio recente, anche se ciò vuol dire condannare all’inattualità questo post entro due o tre anni, forse meno – consapevole che il tempo chronos è una convenzione, dunque utile forse per misurare il nostro veloce approssimarci alla morte e l’inevitabile entropia, ma non è il tempo dell’arte. quelli che seguono sono alcuni tormentoni di questa estate, e di molte estati precedenti, fatta di immobilismo, zanzare, mosche che si avvicinano sapendo che presto saremo carne tiepida, cicale come colonna sonore dell’apocalisse, sudore che in fondo è un modo del nostro organismo di evaporare e quindi far scomparire questi corpi idratati giusto per arrivare sani al funerale. non c’è mai stato niente da ridere, nemmeno quando sono state scritte queste canzoni, ma il punto è proprio questo, i corpi continuavano a contocersi e quindi a ballare, e su certi morti tuttora a volte appare un ghigno simile a un sorriso, come nelle maschere fenice.  buon ascolto.


Oh, come è bello guidare i cavalli. Questa mina assoluta arriva dal 1908 ed è tratta dall’operetta “L’acqua cheta” di Augusto Novelli. A cantare è un fiaccheraio, cioè un cocchiere, uno che conduce le carrozze. Nei primi versi usa la frusta in modo minaccioso contro un altro personaggio, ma la grandezza arriva nel celebre ritornello “Oh, com’è bello guidare i cavalli / E trottare per strade e per calli / Poi del taverniere / Bere un buon bicchiere! / E trincato il Chianti /Su in vettura, avanti / Fila via, cocchier!”. Praticamente è la “50 Special” del 1908, e va detto che già la canzone dei Lunapop era bella. In entrambe c’è questa sensazione di libertà di andarsene in giro, qua “per strade e per calli”, nel pezzo di Cremonini nei famosi “colli bolognesi”, ma il concetto è quello. Ci volete a lavorare? E noi ce ne andiamo in giro a cavallo a bere vino. Mindset simile a un altro pezzo che vedremo tra poco, vero e proprio manifesto lisergico e antilavorista, ovvero “A Zonzo”. Ma provate il ritornello killer di “Oh, come è bello guidare i cavalli”: hit assoluta. Online si trova anche la versione televisiva con Odoardo Spadaro, ma qua metto la versione di Stracciari.

Luigi Stracciari – Oh, come è bello guidare i cavalli

Testina di vitello. Leggo online che “la testina di vitello è un taglio piuttosto grasso e gelatinoso apprezzata solo da pochi intenditori”. Ebbene, in questo pezzo incredibile di Odoardo Spadaro fuori ora su tutte le piattaforme – in realtà credo sia degli anni ’30 – il protagonista dice che ad alcuni piace il mare, ad alcuni viaggiare, andare lontano, volare, “a ciascun piace qualcosa”. E al protagonista cosa piace? Quando arriva il ritornello mettetevi sotto cassa perché: “A me piace la testina di vitello” – esatto. E poi elenca i vari modi in cui si può mangiare. Gli piace talmente tanto che più avanti descrive una scena d’amore in cui si trova in una stanza con la sua donna, la luce viene spenta, lei gli dice “Facciam qualcosa / Che ti piace /Dimmi tu”. E lui cosa risponde? “A me? A me piace la testina di vitello / Con l’aceto, il pepe e il sal / Col prezzemolo è special!”. Questa è passione. Anche dopo, dovendo scegliere tra le figlie più belle di un barone, alla domanda “Dica quel che più le piace” il nostro risponde ovviamente come potete immaginare. Ok, non è vegana e antispecista questa hit, e per buona parte del collettivo questo è un problema, ma è una super hit da cantare tutti i giorni.

Odoardo Spadaro – Testina di vitello

Evviva la torre di Pisa. La situazione è geniale: c’è questo tizio che sta camminando quando gli cade un vaso dal decimo piano di un palazzo. Ve lo immaginate a terra in una pozza di sangue? Sbagliato. Ve lo immaginate a bestemmiare tutti i santi? Sbagliatissimo. La reazione del nostro protagonista è di sorridere e iniziare a cantare un grande elogio della Torre di Pisa, che pende ma non viene mai giù, che non cade e sta sempre su. Per certi versi mi ha ricordato un’altra hit, un po’ successiva, cioè del 1997, del collettivo anarchico Chumbawamba che totalmente a sorpresa arrivò in tutto il mondo con “Tubthumping”, dove si ripete infinite volte nel ritornello una cosa tipo “Vengo buttato giù, ma mi alzo di nuovo”. Il concetto è quello. O forse per il nostro protagonista quel vaso in testa – lui dice sul naso in realtà – è stato letale ed è morto, e tutto il resto è una sorta di allucinazione. Menzione speciale per il misterioso personaggio di Maria Luisa, che si sospetta essere stata inserita solo per fare rima con Pisa. Comunque, una delle canzoni italiane più belle di sempre – altro che De Andrè, Guccini o Tony Effe – droppata da Mario Latilla credo nel 1939.

Mario Latilla – Evvia la Torre di Pisa

A Zonzo. E qua mi devo dilungare. Allora, 1942, siamo in piena Seconda guerra mondiale, Filippini e Morbello scrivono questa canzone cantata in origine da Ernesto Bonino. Andare a zonzo significa andare in giro senza meta, ed è un’espressione onomatopeica (sarebbe ispirata dal volo di alcuni insetti), ma in questa canzone Zonzo è anche un posto fisico e ci si può andare realmente. Un posto tranquillo, dove c’è il sole, il cielo è blu, dove “Odo i passeri che svolazzano sopra gli alberi /Mi cinguettan di lassù”. Notare che il protagonista di questa canzone non fa nulla, semplicemente passeggia e si gode il posto. È un elemento gioiosamente improduttivo della società capitalista. Osserva i passeri, anzi si sente egli stesso un passero (“Me ne vo di quà e di lá, / Vado libero come un passero”). Quindi in parte è indubbiamente un inno antilavorista, in parte è un’esperienza lisergica, ma non solo: sono diverse le sostanze che possono metterci nello stato in cui si trova il protagonista. Successivamente uscì una variazione di questa mina cantata da Alberto Sordi nel film di Stanlio e Ollio “I diavoli volanti”. Viene cantata dopo che i due hanno deciso di disertare e scappare dall’esercito, quindi è già bella per questo. Tra l’altro, come se non bastasse, nel film Ollio muore e si reincarna in un cavallo. Questa versione di “A Zonzo” è meno potente ma più visionaria, “Guardo gli asini che volano nel ciel /ma le papere sulle nuvole /si divertono a fare i cigni nel ruscel”. Ci sono anche treni, gondole e “Queste strane cose vedo ed altro ancor”. Insomma, LSD. Inoltre, nella prima versione della canzone c’è un riferimento al fatto che a Zonzo “il cielo è sempre blu” che sicuramente ricorda la canzone di Rino Gaetano, ma soprattutto rimanda a un’altra perla lisergica successiva a “A Zonzo”, ovvero “Nel blu, dipinto di blu”, dove il protagonista si dipinge la faccia di blu e inizia a volare sempre più in alto mentre sente una misteriosa melodia (forse una sinestesia tipica di un trip? Anche se, va detto, il tutto inizialmente è giustificato come “un sogno”). Comunque, entrambe due hit clamorose FUORI ORA.

Ernesto Bonino – A Zonzo

Alberto Sordi – Guardo gli asini che volano

7 risposte su “I tormentoni dell’apocalisse. Playlist”

Ah ma quella degli asini che volano, la conosco! Deve essere qualche reminiscenza del film di stanlio e ollio visto da bambina, sicuro, perché la melodia la ricordo benissimo❤️

esatto, credo venisse usata anche come sigla delle comiche di stanlio e ollio in tv, successivamente (io la ricordo per questo)

Non so se ti ha ronzato nelle orecchie anche l’ultima bombetta del Trio Lescano, Pippo non lo sa. Questo Pippo se la tira più di un trapper e spacca due volte tanto. Più fresco di un frigo sto pezzo

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