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Un delfino

(una storia per i più piccoli)

C’era una volta un delfino.
Lui non lo poteva sapere, perché era morto, ma molto presto a nessuno sarebbe più importato di lui.
Il suo corpo spiaggiato era stato motivo di interesse nelle prime ore di sole, quando prima gli anziani e poi le famiglie con bambini arrivavano sulla spiaggia. Era la novità del giorno: c’era chi si avvicinava subito a guardarlo, altri invece all’inizio fingevano disinteresse, ma poi anche loro cedevano a quello spettacolo. I bambini, come hanno sempre fatto, lo toccavano con una canna o un bastoncino, per constatare l’effettiva morte e verificarne la consistenza.
Il delfino è tra i più sfortunati tra gli animali perché da morto gli resta come un sorriso che più che suscitare tenerezza lo fa diventare ridicolo agli occhi di chi lo guarda. Gli occhi erano chiusi, ma appariva ancora vivo, apparentemente intero, molto liscio, senza graffi o tumefazioni.
“Guarda papà! Un delfino” disse la bambina. “Guarda papà! Un delfino!”
“Lo vedo, lo vedo…”
“Com’è morto?” chiese la bambina.
Il padre non rispose subito, perché c’erano altri adulti e non voleva dire cose inesatte davanti a sua figlia. Prese tempo, nella speranza che qualcuno rispondesse al posto suo.
“Forse una busta di plastica l’ha soffocato” disse un vecchio con un cappello di paglia.
“Ma non si vede nessuna busta.”
“Forse l’ha ingoiata.”
La bambina guardò il padre per avere una risposta definitiva.
“La natura…” cominciò il padre, senza finire.
Gli altri lo guardarono, ormai incuriositi.
“Non ci si può fare niente” disse il vecchio, mettendo fine alla conversazione.
Qualcuno chiamò i vigili urbani per informarli della presenza di un animale morto su una spiaggia frequentata da famiglie e bambini. Quest’ultimo dettaglio, la presenza dei bambini, venne sottolineato più volte, ma non bastò a turbare la proverbiale serenità dei vigili urbani.
“Non è di nostra competenza” risposero.
E a metà mattina del delfino già non importava più a nessuno. Qualche nuovo arrivato si avvicinava e lo fotografava. Ma era chiaro a tutti che l’interesse non era più lo stesso di qualche ora prima. Una motovedetta della polizia si avvicinò alla riva.
“Non potete portarlo via voi, o avvisare qualcuno?” chiese un ragazzo che lo stava fotografando.
“No” rispose il poliziotto dalla barca, “non spetta a noi. Ma qualcuno verrà. Ce la fai una foto?”
I due poliziotti si misero in posa sulla barca e il ragazzo dalla riva gli scattò una foto. I poliziotti misero in moto e andarono via ridendo.
Prima dell’ora di pranzo tutti ignoravano il delfino. Qualcuno giocava a racchette, altri facevano il bagno o prendevano il sole.
Verso sera un cane ci pisciò sopra. Da lontano il padrone lo chiamò, ma il cane non ubbidì immediatamente perché attirato da quegli strani odori che il delfino aveva iniziato a produrre stando tutto il giorno sotto il sole estivo. Il padrone chiamò il cane una seconda volta, quello pisciò di nuovo e poi andò via. L’urina del cane si mischiò con la carne moribonda del delfino formando nuovi colori e nuovi odori.
Il giorno dopo il delfino iniziava a decomporsi.
Le persone si erano tenute a distanza, ma un insidioso venticello portava la puzza tra gli ombrelloni. Qualcuno chiamò di nuovo i vigili, ma di nuovo risposero che non era di loro competenza, imperturbabili ad ogni intervento esterno alla loro realtà. Verso l’una arrivò una macchina misteriosa dalla quale scesero due ragazzi con una borsa nera.
Si avvicinarono al delfino e presero dei campioni. Un vecchio curioso chiese informazioni e i due ragazzi dissero che lavoravano per un centro di ricerca.
“Prendiamo dei campioni per studiarlo.”
“Ma non lo portate via?”
“No.”
“Ma puzza” disse il vecchio.
“Non sappiamo cosa dirle, noi li studiamo. Qualcun altro verrà a prenderlo.”
Poi andarono via.
Il giorno dopo, e quello dopo ancora, il delfino continuava a decomporsi.
Prima diventò più chiaro e opaco, come se si seccasse, poi si gonfiò e diventò viola con chiazze rosse.
Ora non era più bello da vedere e nessuno lo fotografava più. Due uomini lo allontanarono usando dei bastoni. “Dobbiamo allontanarlo anche dall’acqua” disse uno, senza sapere perché.
Il giorno dopo passò una macchina della forestale. Qualche bagnante segnalò la presenza del delfino putrescente, gli uomini della forestale scesero a controllare ma dissero che non era di loro competenza.
“Sì ma questa è una spiaggia frequentata dai bambini” disse una mamma “e questo delfino non è igienico”.
I forestali si guardarono tra loro e uno di loro pensò che era vero, la morte non era una cosa igienica, ma non lo disse a voce alta.
“Signora, manderemo qualcuno.”
“Mamma cosa vuol dire putrescente?” chiese la bambina.
“Non lo so” rispose la mamma a bassa voce.
Il giorno dopo arrivarono due operai del comune con delle transenne.
“Dovete portarlo via?”
“No, dobbiamo transennarlo per questioni igieniche” rispose l’operaio. “Poi verrà qualcuno a prenderlo.”
Dopo qualche giorno quel che restava del corpo del delfino era ricoperto di vermi. La sera i pescatori andavano direttamente dal delfino a prendere i vermi per usarli come esche.
La notte le coppie si appartavano a pochi metri dallo spettacolo della putrefazione. All’alba una brezza leggera faceva svolazzare cartoni della pizza e preservativi secchi.
Dopo dieci giorni del delfino non restava molto. Era difficile riconoscerne la forma. Si capiva che una volta c’era stato qualcosa di vivo, ma non si poteva dire cosa. Gli operai del comune tornarono con una ruspa e un camioncino.
“Lo portate via?” chiese il vecchio con il cappello di paglia.
“Sì, lo devono studiare.”
“Studiare? Ma non è rimasto quasi nulla.”
L’operaio alzò le spalle e continuò il suo lavoro.
Dove una volta c’era il delfino era rimasto il segno della pala meccanica, ma la notte una mareggiata cancellò tutto e il giorno dopo la spiaggia tornò come prima. Non c’era più nessun segno del delfino, solo il ricordo. Ma anche quello durò poco.
“Dove avranno portato il delfino?” chiese la bambina al padre mentre pescavano.
Ma siccome c’erano altri adulti e il padre non voleva dire inesattezze o essere corretto da estranei di fronte a sua figlia, non disse nulla e continuò a pescare.

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