(siccome mi pare che il caldo sia definitivamente tra noi, mi sembra giusto portare una ventata di fresco e incollare qui una selezione di post di una specie di allegrissimo diario invernale che avevo aperto su tumblr in uno di quei periodi che ci siamo capiti benissimo, è inutile aggiungere altro.)
1. saigon, sono ancora soltanto a saigon
altre vette di insoddisfazione, inadeguatezza, delusione e malessere. sono le mie olimpiadi.
vado a una fiera gastronomica e non mangio nulla. ho detto 35 volte “no, grazie” e una decina di volte ho fatto solo no con la testa.
ho parlato di iran quando non c’entrava niente.
prendo il primo treno possibile, tutto in salita, fila alla macchinetta, sul treno finisco di fronte alla solita coppietta, musica noise nelle orecchie, occhi sul libro, mi sembra di avere 16 anni. nel riflesso del finestrino li vedo baciarsi, tolgo un attimo le cuffie e sento rumore di labbra altrui, e davvero non c’è niente di peggio, niente, del rumore di labbra altrui.
nel riflesso del finestrino faccio sempre succedere di tutto, scortico gente, faccio smorfie, incendio cose, un omaggio a quelle terrificanti allucinazioni intercity del 2006, uno dei pochi momenti di vero autentico terrore della mia vita.
57 minuti dopo scendo dal treno, decido di andare via a piedi, molto molto freddo e molto vento, ma ne ho bisogno. cammino velocissimo, metto i piedi nelle pozzanghere, poi inizia a piovere, metto il cappuccio per la prima volta, mai usato prima questo cappuccio, che comunque si rivela poco efficiente, vedi a spendere poco.
poi smette di piovere e inizio perfino ad avere caldo, 30 minuti dopo arrivo a destinazione.
mangio una carruba.
2. dimenticavo
mai andare a queste cose di solidarietà. gente rompipalle, clown di corsia che ti chiedono soldi simpaticamente, però intanto te li chiedono, tutti molto aggressivi, vaffanculo, metti una firma qua, appelli, stronzate. meglio i parcheggiatori abusivi. viva i parcheggiatori abusivi.
3. classico
vecchio amico di internet mi scrive per chiedermi se ho sfruttato il mio talento, cose così. mia risposta lunghissima e deprimente, tasto invia e pentimento lento.
come ciaicoschi: pathètique, adagio lamentoso.
4. Crema
sono andato a comprare creme di olive e di carciofi in un’azienda agricola qua vicino. signora di campagna, di quelle durissime e molto sveglie. dice che il marito è stato ricoverato ieri, roba di fegato, “e chissà se uscirà dall’ospedale”, ma lo dice senza alcun dramma, assolutamente fatalista. “dopotutto ha una certa età, diciamo che ha vissuto”. amo queste vecchie di campagna. allo stesso tempo mi fanno paura. si vede che potrebbero staccarti la vena giugulare a morsi.
5. cappuccio
è ufficiale: ho la passione del camminare in città al buio quando fa brutto tempo. dico in città perchè in campagna non si può perchè non c’è l’illuminazione. diciamo che quello è un altro livello ancora. per ora sono al livello che mi piace attraversare la città col freddo e la pioggia, cappuccio in testa o ombrello, sciarpa, se la temperatura lo richiede anche guanti. la cosa più importante però sono i piedi: bisogna tenerli caldi e asciutti.
in generale.
6. nuatuale
a noi anziani capitano cose così: ti cade la dentiera a terra e si rompe, ma non puoi andare a rifarla perchè hai un piede gonfio e non puoi camminare. allora chiedi il favore a qualcuno ma nessuno ti caga perchè è quasi natale e hanno tutti cose da fare. allora fai telefonate per lamentarti/chiedere aiuto. poi però bevi cynar e ridi da solo davanti alla tv e alla fine ma sì, fanculo, e dopotutto il cynar ha le vitamine e quindi hai risolto anche il problema del mangiare.
7. Però
una che mi sbatterei all’infinito fino a spellarmi il cazzo e anche dopo: sabrina impacciatore.
8. Colon
vicino alla clinica incontro la mamma di B. non la vedevo da 10 anni, fingo di non riconoscerla subito, ma poi sorridiamo a vicenda e sono costretto ad avvicinarmi mentre entrambi pensiamo “ma che cazzo di sfiga, mi ha riconosciuto”.
lei è seduta al volante della sua macchina. non scende, quindi parliamo attraverso il finestrino. esordisco bene, le faccio perfino un complimento sul suo decente stato fisico, poi la conversazione prende una prevedibile piega grottesca. lei mi guarda come mi guardava 10 anni fa, con pietà e forse compassione. è uno sguardo che avevo dimenticato. mi ha sempre guardato così.
è felice del figlio perchè lavora dalla mattina fino alla notte, e tu invece? mi chiede. stai lavoricchiando? dice così: lavoricchiando.
annuisco, sorrido e dico qualche banalità, al che lei mi fa notare che sono troppo magro. lo dice con un’espressione di commiserazione che mi fa venire voglia di scappare. quindi mi chiede come sto, come se però sapesse già la risposta, come se l’avesse sempre saputa, anche 10 anni fa, tanto che decido di essere sincero.
non le do un bene-standard ma mi lagno per 5 minuti come non avrei mai pensato di fare fino a un minuto prima. alla fine ci salutiamo e mi allontano con il solito desiderio di riavvolgere la conversazione appena avvenuta e cancellarla, ma ormai è troppo tardi.
***
proprio qualche settimana fa, prima di parlare con sua madre, avevo incontrato B. e avevamo bevuto qualche birra. un incontro poco interessante e inutile da raccontare, ma ora sono costretto a rivalutarlo in seguito a questo secondo incontro.
da ciò che sa la madre è evidente che B. ogni volta che ascolta i fatti della mia vita e annuisce prova per me ciò che prova la madre, e cioè pena, tristezza, compassione, sentimenti che poi comunica al resto della famiglia… e così capita che le conversazioni da cancellare si moltiplichino senza limite in questa sceneggiatura completamente sbagliata, assolutamente da riscrivere.
9. Prolasso
è il terzo cane che conosco che ha avuto un prolasso vaginale. quanti ancora potrò conoscerne da qui alla mia morte? quanti saranno in tutto? cosa vuol dire?
10. Hanno ucciso mio padre, e il tuo?
i figli delle vittime del terrorismo. ormai è una vera e propria lobby. in italia non c’è nessuno che abbia tanto spazio quanto loro. tv, libri, giornali, sono ovunque. oltretutto spesso utilizzano questo spazio semplicemente per dire che non ne hanno abbastanza e che ne vorrebbero di più. non bisogna fare silenzio, non si può dimenticare e le solite altre frasi e intanto sono sempre lì a parlare e a farci sentire in colpa. è un’elaborazione del lutto che diventa istituzione. forse è il momento di dare spazio ai figli dei terroristi.
11. Lunedì
in tv ahmadinejad. mi sento vicino a lui. ha perfino gli occhiali da vista oscurati (come si chiamano? fumè? flambè?), quelli che pensavo di prendere ma poi ho cambiato idea perchè avevo paura di sembrare un designer di interni di città, uno stilista di milano e in generale una checca. e invece guardalo, a discutere di nucleare. come al solito il 70% del suo discorso lo trovo condivisibile. atomi, acciaio e malattie. annuisco più volte, alla fine cambio canale, come faccio sempre quando sono troppo d’accordo con quello che sento. è che ho bisogno di stupore, mistero, meraviglia, il resto non mi interessa. ho imparato che lo stupore può anche manifestarsi in forma di delusione, ovvero l’assenza di una prevista meraviglia. ad esempio ieri all’orto botanico ho cercato a lungo l’albero fiamma, mi son perso per ore tra piante carnivore e succulente, odorose e pelose, oscenamente colorate o aridamente spinose, cactus, palmeti, conifere, papaveri da oppio, piante striscianti, radici tentacolari, foglie a forma di cazzo con le spine, piante officinali, ficus ubiscus puscus hocus pocus cous cous ecc. ecc. per poi scoprire che l’albero fiamma era un albero come tutti gli altri e che c’ero passato sotto più volte senza notarlo perché in questo periodo non è rosso ma verde, cioè come tutti gli altri. e in ciò consiste la meraviglia. l’albero fiamma non era bello come mi aspettavo, ma brutto come non mi aspettavo, il che è molto meglio. questa è una regola per il vivere felici, segnatevela. inoltre sono ormai certo di non riuscire a comunicare con chi non soffre. o meglio, ci riesco, ma devo fingere, ed è una gran fatica. con chi soffre invece c’è una comunicazione spontanea, diretta, perfino reale, non penso prima a cosa dire, non mi faccio distrarre dai denti, dai movimenti degli occhi, dalla lingua sulle labbra o altro… c’è semplicemente quello che dicono loro e quello che dico io. mi interessa davvero ciò che dicono e mi piace molto. con tutti gli altri mi annoio, con qualcuno di più, con qualcuno di meno. una gita di 3 giorni a barcellona assicura ore di conversazione per anni, con la gente normale. non c’è altro da aggiungere, qualche concerto, aneddotica universitaria, raramente libri, più spesso film, politica le solite cose e quanto è buono quel kebab… la distanza è ormai da anni incolmabile. dovevo parlare di ahmadinejad e del fatto che vorrei cavare gli occhi agli amanti in treno, ma per ora basta così.
12. Life during wartime
domenica, personale di un giovane artista al teatro civico. pompa magna, il comune ha speso e si vede. graziose signorine all’ingresso, il nome del giovane artista su un grosso pannello di legno, e tutto ciò che ne consegue. le sue cose non sono nemmeno male, opere d’arte realizzate con materiali di scarto + ammiccamenti insensati all’immaginario collettivo nerd (ma ciò che li rende interessanti è proprio l’insensatezza). siccome è lì ci scambio due parole, sento i prezzi, trasalisco, gli chiedo dettagli tecnici ma lui è sfuggente, come da copione. esco. fuori decine di bancarelle con persone qualunque che espongono le cosucce da loro realizzate: maschere, collanine, pupazzi, giocattoli e altre tenerezze personali che uscite dalle loro case rivendicano ora un improbabile riconoscimento. ovviamente, nessuno li caga. gli stessi che pochi metri prima ammiravano il giovane artista snobbano questi piccoli artigiani e passano oltre in cerca di un gelato. me compreso. la situazione mi sembra emblematica: si trovano a pochi metri di distanza, un po’ come i gatti sulla strada e i topi nelle fogne. perché lui? perché il giovane artista non ha una bancarella come tutti gli altri? perché lui dice millessette e nessuno ride mentre con quei disperati si tira il prezzo per arrivare a due o tre euro? penso che è un sistema crudele, ma anche che è così che funziona. qualcuno sì, qualcuno no. poi a casa scopro che anni fa il giovane artista ha preso parte a un noto spot pubblicitario e improvvisamente tutto torna ed è domenica sera e c’è report a confermare.
13. A morte Margherita Buy
comunicaz. di servizio: margherita buy NON è una grande attrice e fa sempre la stessa parte, accusa che invece viene rivolta a monica bellucci, che almeno è bellissima ma non è scarsa come dicono. il 90% delle donne odia la bellucci perchè è bellissima e considera margherita buy un’attrice eccezionale proprio perchè anonima, insicura e mediocre come loro. profez. maya di servizio: il prossimo grande film italiano avrà come protagonista la bellucci. a morte la buy. buy nothing day. e nel 2450 si studierà la bellucci nelle scuole durante l’ora di religione.
14. Sexo & Chili Masnade (in technicolor)
alla fine è tutto cominciato così: la prima volta che l’ho fatto avevo decine di punti in tutto il corpo e ogni movimento mi faceva disperare. forse per questo mi sembra normale. ieri prima di uscire mi sono fatto un’iniezione intramuscolare e dopo, oltre a tutto il resto, mi faceva male anche il culo. non so, forse era meglio mettere una pomata. comunque come diceva il poeta arabo Nazim Shaddad, meglio soffrire perché si è goduto piuttosto che godere perché non si è sofferto (a lui però penso piacesse prenderla nel culo).
15. La macchina
ma il mio non è un problema con la gente, con le persone, con i loro corpi, anzi. spesso mi diverto a immaginare scenari post-atomici dove muoiono tutti e resto solo io e alcuni scelti da me. di solito faccio una lista delle persone che salverei. inizio salvando un dentista, poi anche un medico chirurgo e continuando con questo ragionamento finisco sempre per salvare tutti. l’umanità speri di eliminarla tutta e alla fine ti ritrovi a salvarla. o tutti o nessuno. in realtà non si dovrebbe avere il tempo di prendere simili decisioni. ci vorrebbe una deflagrazione improvvisa che lasci senza fiato. rialzarsi sotto le macerie, scrollarsi di dosso la polvere e trovare immediatamente un riparo, senza il tempo per pensare. se invece non riesci a liberarti dalle macerie allora addormentati, copriti di cocci e mattoni, come se ti rimboccassi le coperte.
ogni domenica sera mentre torno a casa in treno vedo i fuochi d’artificio e immagino di essere sotto attacco, i binari che saltano in aria, un boato metallico, il fuoco. non è mai così, di solito sono solo i festeggiamenti per qualche santo patrono. il mio treno non deraglia mai, l’evaporazione è inevitabile e anche a me piace passeggiare tra le barche del porto tenendola per mano.
16. Cadono pietre
grazie al viaggio in treno con i tifosi del cagliari ho scoperto che agli ultras piace indossare magliette con i nomi di persone morte, credo loro amici ultras. le facce sono tutte uguali, da potenziali militari esplosi a kabul, lavoratori, gente che si sta sempre per sposare. in treno tira un’aria da ultima ora alle industriali, un clima che non sentivo da anni e forse un po’ mi mancava – stronzate. progettano oktober fest e altri viaggi che non faranno, ma non parlano mai di donne. a sorpresa invece parlano soprattutto del lato economico del calcio. un energumeno tatuato fa una tirata sui bilanci delle società e sulle cessioni sbagliate, dice perfino parole che io non capisco. in generale però mi sembrano cafoncelli schiavi dei propri bisogni più elementari. mangiano e bevono, si alzano in continuazione per andare a fumare, si danno schiaffi per gioco, pacche, spinte, uno dice all’altro che gli deve dire una cosa e gli rutta nell’orecchio, poi di nuovo mangiano, bevono e fumano, e questo in un viaggio che dura poco più di un’ora che io passo immobile come una pietra, in uno stato di semicoscienza, come faccio sempre in treno.
17. Esperienza professionale
B. è quello che conosce la gente morta. conosceva il parà morto oggi a kabul e anche il ragazzo morto sabato scorso in un incidente stradale a due passi da casa mia. di quest’ultimo mi ha illustrato anche i dettagli.
è morto perché nello schianto una costola gli ha bucato il polmone. ma il corpo era integro, non aveva nemmeno un graffio.
B. pochi giorni dopo l’incidente è perfino andato a casa della famiglia del morto, per motivi di lavoro.
io pensavo che l’avesse fatto per toccare la morte da vicino, per sentire l’odore di parente morto e vedere che effetto fa. ma mi ha detto che l’ha fatto perché secondo lui poteva essere un’esperienza professionale utile.
sotto questa nuova ottica devo riconsiderare tutti i suoi precedenti discorsi sul lavoro.
18. “PANINI TOAST FANTASIA”
scritta adesiva vista sulla vetrina di un bar. fuori c’era un tipo che scatarrava.
19. Liberate il serpente
in treno quando non c’è nessuno da osservare a volte gioco a snake.
il serpente si muove in un’area delemitata corrispondente allo schermo monocromatico del mio cellulare da 98 x 68 pixel. nel suo piccolo mondo puntiforme non si può mai stare fermi: il serpente è costretto a muoversi in continuazione, facendo attenzione a non andare contro il perimetro dello schermo, la fine del suo triste mondo.
a rendere questa situazione ancora più opprimente c’è il fatto che a decidere la direzione non è lui, ma noi che giochiamo. questo carica noi di responsabilità e il serpente di disperazione, perché la durata di questa agonia dipende solo da noi, oscuri e distratti giocatori.
apparentemente l’unico scopo del serpente è quello di mangiare il cibo che appare a intervalli regolari nel piccolo mondo-scatola. il cibo è rappresentato da piccolo sfere dall’aspetto lucido e invitante, secondo alcuni simili a ciliegie ma in realtà secondo me – un paio di mesi di catechismo sono bastati – più simili a delle mele.
ogni volta che il serpente mangia le mele diventa più grande: la coda si allunga e il suo piccolo mondo monocromatico diventa sempre pià opprimente, un po’ come succede ad alice quando beve la pozione dal sapore di ciliegia.
così come il serpente biblico aveva causato la cacciata degli umani dal paradiso con una mela, ora è condannato per l’eternità a cibarsi di queste mele senza alcun motivo apparente se non quello di ingrassare in una piccola scatola che invece non varia le sue dimensioni.
a volte, nel tenativo di salvarlo, ho deciso che avrei fatto in modo che evitasse di mangiare il cibo, ma così facendo il gioco non va avanti, si cade in una fase di stallo senza soluzione e dopo un po’ si è costretti ad andare incontro al destino ineluttabile. a complicare le cose c’è il fatto che il serpente, man mano che cresce, anche il suo stesso corpo diventa letale e scontrarsi contro la sua stessa coda significa morire
quando le dimensioni del serpente coprono quasi tutto lo spazio disponibile assume l’aspetto di un complicato labirinto. io non ci sono mai arrivato perché di solito smetto molto prima. in treno dopo 5 minuti il senso di claustrofobia e di angoscia si faceva troppo forte e lanciavo il telefono sul sedile. ma dopo un minuto scarso riprendevo la partita, per poi interromperla di nuovo. liberate il serpente.
4 risposte su “Wintergarten”
per me lo snake era la metafora della vita.. dell’uomo, non del serpente, che cerca la conoscenza, prima o poi lo spazio ristretto in cui è confinato non basta più. troppa conoscenza uccide. ma anche troppo cibo, se inteso come il peccato originale di gola (e forse lussuria). probabilmente in realtà è solo un gioco ideato per far saltare i nervi a chi ci gioca, senza altri significati. e se i significati che ci mettiamo noi, dove non ce ne dovrebbero essere, fossero come le mele/ciliege del gioco..?
ok, sproloquio (mio) a parte, gran bel blog. anche se non mi sorprende mai per delusione 😉 ciao
forse snake è fatto apposta per questo, è come uno specchio.
oppure è un messaggio alieno dal pianeta dei serpenti. rileggendomi inizio a pensare a quest’ipotesi.
Ciao ti seguo da anni, voglio diventare tuo amico, come si fa?
boh, non saprei. scrivimi una mail (emmepi[chiocciola]gmail.com)