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La soluzione al problema della sincronia

quando si parla della possibilità di un contatto con civiltà aliene, e almeno a casa mia se ne parla molto spesso, uno dei problemi più affascinanti e spesso sottovalutati è quello della sincronia.

le distanze nell’universo sono enormi, e questo lo sappiamo, ma facciamo finta che questo ostacolo sia superabile: immaginiamo ad esempio che una delle due civiltà, la nostra o la loro, riesca a inventare qualcosa come la propulsione a curvatura, capace di attraversare distanze immense in tempi relativamente brevi. rimane una grande, enorme incognita: i tempi dello sviluppo della vita.

secondo le nostre attuali conoscenze, per arrivare a un’intelligenza tecnologicamente avanzata servono miliardi di anni. perlomeno, sulla Terra è andata così. magari altre forme di vita potrebbero essere molto più veloci e passare da organismi unicellulari a organismi che costruiscono motori a curvatura nel giro di pochissimo, chissà. resta il fatto che la sincronia temporale è davvero una circostanza incredibilmente fortunata.

significa che, perché due civiltà possano incontrarsi, devono trovarsi grosso modo allo stesso livello tecnologico nello stesso periodo della loro esistenza. perché se loro ci mandano un messaggio, noi dobbiamo essere in grado di riceverlo – e viceversa.

considerati i tempi dell’universo, è davvero qualcosa di molto difficile. ad esempio se una civiltà avesse raggiunto la tecnologia necessaria per cercarci due miliardi di anni fa, sulla Terra avrebbe trovato solo organismi unicellulari. chissà, forse è anche successo.

allo stesso tempo, una civiltà capace di comunicare con noi o di viaggiare nello spazio potrebbe ancora non essere nata. magari proprio ora su un altro pianeta ci sono solo microrganismi destinati a evolversi e a costruire astronavi tra milioni o più probabilmente miliardi di anni. ma noi, nel frattempo, ci saremo ancora?

è un po’ come se andaste a cena da un vostro amico, ma arrivaste talmente presto che lui non solo non è ancora a casa, ma non è nemmeno nato: arriverà tra 18 milioni di anni. che fate? aspettate? facciamo che aspettate: dopo milioni di anni il vostro amico si presenterà, ma in una forma molto semplice ed elementare, non ancora in grado di comunicare con voi. per quello dovrete aspettare un centinaio di milioni di anni, o forse due miliardi. immaginate che belle conversazioni a cena.

quando poi il vostro amico riuscirà a parlare, voi non ci sarete più: sarete finalmente morti.

insomma, potremmo essere sempre sfasati. magari da decenni stiamo mandando segnali radio nello spazio a organismi non ancora abbastanza evoluti da riceverli. e quando lo saranno, sempre che capiti, noi nel frattempo ci saremo estinti. allo stesso tempo, magari da miliardi di anni la terra riceve segnali da un’altra galassia, ma noi esistiamo da poco e non siamo ancora in grado di comprenderli, e magari lo saremo tra migliaia di anni, ma a quel punto forse scopriremo che quella civiltà nel frattempo è scomparsa.

(io, per atto di fede e scelta politica, scelgo di immaginare che non solo altre civiltà esistano – in qualche punto del tempo – ma anche che siano desiderose di contattarci per fare amicizia. ovviamente ci sono tutti i motivi dei pessimisti per cui sì, ci potrebbero essere altre civiltà, ma ci potrebbero semplicemente ignorare, tipo la nota “ipotesi dello zoo”, la “foresta oscura”, eccetera.)

quindi: il vero problema non è solo quanto siamo lontani, e lo siamo praticamente da tutto – è che dobbiamo anche trovarci nello stesso momento. allora, alla ricerca di una soluzione, si possono valutare due ipotesi: o che una civiltà sia diventata intelligente e complessa miliardi di anni fa, ma anche solo milioni, e non si è mai estinta, e quindi in qualche modo coesiste con noi, oppure immaginare che noi esseri umani dureremo ancora centinaia di milioni di anni, una stima molto ottimistica visto che la nostra specie avrebbe probabilmente solo 200mila anni e ha iniziato ad andare nello spazio praticamente l’altroieri.

quando si ragiona su questo punto di solito si dice che è improbabile che una specie duri centinaia di milioni di anni o addirittura miliardi. boh, forse. però c’è da dire che i batteri esistono da miliardi di anni, stanno tuttora benissimo e sono gli organismi più diffusi del pianeta. certo, allo stesso tempo c’è anche la storia dei dinosauri… quindi.

quindi boh, è possibile, anche perché se l’universo è davvero così grande, e pare lo sia, non c’è un’altra civiltà, ma magari altre mille, o 100mila, o milioni. però il punto della durata resta. cioè, diciamo la verità, se ci guardiamo allo specchio risulta davvero difficile pensare che la nostra specie possa durare così a lungo e il pessimismo, qualcuno direbbe il realismo, ci porta a pensare che ci autoannienteremo prima in qualche modo, altro che durare milioni di anni. al di là del pessimismo, c’è anche la questione dell’abitabilità: anche se ipoteticamente una civiltà durasse miliardi di anni, magari è il pianeta a durare meno, come forse è successo, per restare al sistema solare, a pianeti come Marte e Venere, adesso luoghi ostili, ma in passato forse abitabili. dopotutto sappiamo che probabilmente tra un miliardo di anni la Terra diventerà inabitabile a causa della crescente luminosità del sole, e c’è sempre la possibilità che le alterazioni del clima la rendano inabitabile – almeno per gli umani – anche prima.

ovviamente c’è anche un altro modo per spiegare come sia possibile che una civiltà esista così a lungo da rendere più probabile la sincronia con eventuali altre civiltà: i robot.

se la vita su un pianeta – sia il nostro che un altro – dovesse essere rimpiazzata del tutto da forme artificiali, come robot e intelligenze artificiali avanzate, allora il discorso cambia. a quel punto la durata dell’esistenza di una civiltà non sarebbe più legata ai limiti biologici di un organismo vivente, all’estinzione o alle catastrofi ambientali. una civiltà fatta di macchine pensanti, capaci di autoripararsi, replicarsi, adattarsi a condizioni estreme o magari vivere nello spazio profondo, avrebbe molte più possibilità di durare nel tempo (sempre che non gli arrivi un meteorite sulla testa).

in questo scenario, diventa più realistico immaginare una presenza continua per milioni, forse miliardi di anni. una forma di intelligenza artificiale potrebbe restare attiva ben oltre la fine di un’epoca biologica. quindi la sincronia forse sarebbe possibile se una delle due civiltà che sto immaginando fosse costituita da robot. non solo: potrebbero essere i robot sulla Terra, ma anche robot sull’altro pianeta. alla fine il primo incontro (per quanto ne sappiamo) tra due civiltà di due galassie diverse sarebbe tra robot. è una possibile soluzione.

oppure…

come per tutte le questioni complesse sull’universo ho una soluzione semplice che comprende la droga, nozioni pseudoscientifiche e il misticismo.

provate a seguirmi.

se nel corso dell’evoluzione umana riuscissimo un giorno a sintetizzare una sostanza capace di attivare nel nostro cervello nuove aree, oggi del tutto inattive, potremmo scoprire funzioni mentali attualmente inimmaginabili. mettiamo che questa sostanza ad esempio permetta alla mente di comunicare a distanze enormi, magari anche di raggiungere luoghi lontani milioni di anni luce. qualcosa di simile alla spezia di Dune, ma molto più potente.

in questo modo esplorare lo spazio non richiederebbe più astronavi o strumenti, ma diventerebbe un’esperienza mentale. dopotutto è quello che alcuni sperimentano da secoli con i sogni o con la DMT. sarebbe possibile comunicare direttamente con le altre forme di vita e creare una rete di coscienze interplanetarie. una mente potenziata da questa sostanza potrebbe non solo spingersi lontano nello spazio, ma anche modificare il modo in cui percepisce il tempo: osservare eventi passati o futuri e percepire il tempo in modo non lineare.

inoltre, se la mente potesse proiettarsi oltre la materia, potrebbe entrare in contatto con forme di intelligenza non basate sulla biologia né sulla tecnologia, ma su strutture energetiche o mentali. sarebbe una via di mezzo tra un mega trip, l’inconscio collettivo, la noosfera, l’energia oscura e la meccanica quantistica. se la coscienza o l’informazione potessero esistere e interagire al di fuori dei limiti del tempo e dello spazio, il problema della sincronia perderebbe completamente di senso.

non ci sarebbero nemmeno più posti dove andare: ogni punto dell’universo sarebbe nella nostra mente. il nostro io si dissolverebbe nell’infinito, fuori da concetti come spazio e tempo. con il dosaggio giusto sarebbe possibile essere in contatto simultaneo non solo con una forma di vita, ma con tutte quelle esistenti nell’universo e con tutte quelle mai esistite. le menti dei nostri fratelli cosmici sarebbero nelle nostre menti, e viceversa. lo spazio diventerebbe una rete di coscienza espansa. in questa rete, non esisterebbero più barriere tra soggetto e oggetto, tra osservatore e osservato: la realtà stessa si trasformerebbe in esperienza condivisa. sarebbe come un sogno lucido cosmico, in cui non è più necessario viaggiare verso un “esterno”, perché non c’è più nessun esterno e nessuno spazio.

ma se queste capacità mentali sono possibili, allora potrebbe averle anche un’altra forma di vita nell’universo, una che esiste ora o che è esistita milioni o miliardi di anni fa. perché allora non ce ne siamo accorti? perché non facciamo già parte di questa coscienza cosmica interconnessa? ci sono alcune persone che sostengono di far parte di qualcosa di simile, di ricevere messaggi psichici dagli alieni anche senza nessuna sostanza, ma di solito non sono ritenute fonti attendibili. una possibile risposta è che stiamo già partecipando alla rete di coscienza, ma non ne abbiamo consapevolezza. come cellule in un organismo, non percepiamo il tutto, ma lo viviamo. magari noi non siamo in grado di percepire la rete cosmica per limiti neurocognitivi (non è ancora stata inventata la sostanza). quindi già ora ci arrivano numerosi segnali ma noi non solo non li capiamo, ma nemmeno li percepiamo come segnali. in questo caso si fa sempre l’esempio di un cane a cui viene spiegata la matematica. gliela possiamo spiegare con tutta la pazienza di questo mondo, ma probabilmente non la capirà. eppure ci vedrà parlare, dire delle cose, ma non capirà di cosa stiamo parlando. noi potremmo essere come quel cane.

e allora ci si chiede: come facciamo a distinguere il silenzio dall’incomprensione? forse l’universo ci sta parlando in continuazione, ma non nella lingua che sappiamo ascoltare. magari certi pattern nei sogni, certe coincidenze inspiegabili, certe intuizioni improvvise, non sono rumore di fondo, ma tentativi di comunicazione, impulsi deboli che la nostra mente interpreta come casualità perché non ha ancora la grammatica per decifrarli. in questo senso è auspicabile, sempre in attesa dell’invenzione della sostanza, abbandonare l’utile ma tutto sommato limitato metodo scientifico e abbracciare un approccio 100% paranoico, pronto a vedere segnali ovunque, un suono, un’interferenza, un acufene, un certo numero di persone che attraversano la strada, la forma di una nuvola, un borborigmo, i versi degli uccelli, il labiale del conduttore di un tg, la crescita anomala di un’unghia, il sorriso di un farmacista. tutto potrebbe essere un segnale dell’universo e solo allenandosi alla paranoia forse si potrà diventare dei ricettori più sensibili, delle antenne coscienti immerse in un mare di significati ancora invisibili – col rischio abbastanza alto di finire in psichiatria, ovvio. ma varrebbe la pena provare.


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