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Il cinema è in coma, forse è morto (oppure non è ancora nato)

quando è stata l’ultima volta che avete visto un film e avete avuto la sensazione di vedere qualcosa di nuovo?

con il collettivo stiamo portando avanti una via di mezzo tra un cineclub e un corso di cinema, concentrato soprattutto su un modulo che si chiama “il cinema come sarebbe potuto essere”.

la parte propedeutica però è un classico modulo di storia del cinema che analizza vari punti di svolta nella storia di quest’arte. recentemente abbiamo visto in sequenza cinque film girati nell’arco di una decina d’anni, tra gli anni ’20 e i primi anni ’30. ovvero: “Nosferatu” (1922), “La corazzata Potëmkin” (1925), “The General” (1926), “Metropolis” (1927), “King Kong” (1933).

tra “Nosferatu” e “La corazzata Potëmkin” sembra che siano passati 20 anni e invece sono solo 3 anni. tra “La corazzata Potëmkin” e “The General” sembrano 10 anni o più, un mondo completamente diverso, e invece hanno un solo anno di distanza. “Metropolis” è dell’anno dopo, e ancora sembra portarsi molto più avanti. qualche anno e “King Kong” ci porta ancora altrove, in un altro balzo evolutivo: c’è il parlato, una colonna sonora fondamentale, effetti speciali stupefacenti, parti meta-cinematografiche e una drammaturgia complessa.

ogni film sembra un salto quantico rispetto al precedente. un secolo fa c’erano pochissime regole e molto coraggio: era un cinema ancora in stato liquido, in trasformazione continua, dove ogni autore doveva prima inventarsi gli strumenti per poterli poi usare.

il cinema era un’arte viva.

ora provate a guardare un film di cinque anni fa. è identico a un film di quest’anno. ma anche un film di 15 anni fa, o 25 anni fa, perfino. sono indistinguibili. forse li potete sgamare giusto dal modello di cellulare usato, o dal fatto che nei primi anni 2000 si usassero ancora i telefoni fissi.

ma per il resto, montaggio, regia, colori, fotografia, impostazione drammaturgica, ritmo, struttura, ovviamente ci sono delle variazioni, ma sono minime. non c’è mai qualcosa di completamente nuovo e sorprendente. il paragone tra il cinema di un secolo fa e quello di oggi è crudele: se oggi guardi un film del 2017 e uno del 2024, probabilmente usano lo stesso tipo di regia, di montaggio, di color grading, di effetti digitali.

in quegli anni, gli anni ’20 del novecento, il cinema si stava inventando. ogni film inventava qualcosa, una tecnica, una grammatica, e questa urgenza si sente in ogni inquadratura, come se ogni gesto fosse una prima volta, come se ogni regista stesse parlando una lingua sconosciuta e allo stesso tempo la stesse creando, sillaba dopo sillaba, tracciando una mappa in un territorio inesplorato. ogni film era un film sperimentale.

difficile individuare il punto in cui il cinema ha smesso di inventarsi, uno spartiacque simbolico, un punto di arresto. nel preparare il programma per il collettivo ho ragionato molto se fosse con “Fino all’ultimo respiro” di Godard, con “Jurassic Park” di Spielberg, quantomeno perché andavi al cinema e vedevi davvero i dinosauri, oppure con “Twin Peaks”, con la fusione del cinema con la televisione. il fatto è che si possono sparare titoli random e per ogni titolo che dico io scometto che a voi che leggete ve ne verranno in mente altri quattro. la verità è che ci vengono in mente film belli, quelli che ci sono piaciuti, magari un po’ originali, o che hanno avuto un forte impatto culturale, ma non film rivoluzionari.

forse è impossibile individuare il momento in cui il cinema ha smesso di innovarsi. forse dipende anche da quale aspetto del cinema si considera, se l’aspetto tecnico, se la sceneggiatura, se l’estetica. o forse, più probabile, il passaggio non è stato un trauma, ma una dissolvenza: lenta, graduale, quasi impercettibile, come quando una corrente smette di scorrere ma nessuno se ne accorge finché l’acqua non ristagna.

oggi è come se l’innovazione non fosse più possibile, o almeno non come cambio radicale di linguaggio, ma al massimo come semplice affinamento e riscrittura delle regole precedenti. ad esempio, forse vi sembrerò esageratamente pessimista, ma se parliamo di cinema americano il più grande cambiamento a cui abbiamo assistito riguarda il fatto che prima nei film si fumava, poi hanno smesso, e un certo punto hanno ripreso.

la situazione di coma non è identica in tutti i generi: forse quelli dove si sperimenta di più sono il documentario e l’animazione. ci sarebbero molti esempi. però, anche qua, si sperimenta, ma non si trascende mai, non si vede mai qualcosa di completamente nuovo e completamente diverso. “Anomalisa” è innovativo? sebbene sia di uno bravo come Kaufman, di fatto è un film classico, solo che è animato. “Loving Vincent” è dipinto a mano, è letteralmente fatto di dipinti, quindi più che innovativo è quasi un passo indietro. “Spider-Man: Into the Spider-Verse” è fatto di virtuosismi, ma è un film d’animazione super convenzionale. forse “La casa lobo” di Cristóbal León e Joaquín Cociña appare come qualcosa di diverso, almeno tra quelli che conosco io, non solo per come racconta – sicuramente stupefacente, post Svankmajer e fratelli Quay – ma anche per cosa racconta. anche i film di Masaaki Yuasa sono la testimonianza che qualcuno ci prova, ma non si esce dal campo del pensabile. sono variazioni di qualcosa che conosciamo, in questo caso anime e manga. strambi quanto volete, ma variazioni rispetto alla norma, cose comunque possibili.

passando al documentario, ma tenendo un piede nell’animazione, mi viene in mente “Tower” di Keith Maitland, che ibrida i due generi, cosa che negli ultimi 10 anni hanno fatto in parecchi e infatti non sorprende più tanto (ma non che fosse così sorprendente). avendo fatto pure io dei documentari, a un certo punto ho avuto come un’allergia al genere, quindi negli ultimi anni ne ho guardato pochi, però su due piedi mi vengono in mente “The Act of Killing” di Joshua Oppenheimer, sicuramente sorprendente per essere un documentario, ma non così sorprendente per essere cinema, e poi “Leviathan” di Lucien Castaing-Taylor and Véréna Paravel, davvero incredibile, sicuramente qualcosa di diverso, ma ancora nel recinto del possibile (ma quasi fuori, va ammesso). altri passati ai festival e poi diventati irrecuperabili, non ne conosco. o meglio: alcuni li ho visti, mi hanno anche sorpreso un po’, ma una settimana dopo li avevo dimenticati e infatti ora non li ricordo.

torniamo a quel clima eccitante di un secolo fa. ogni film era qualcosa di nuovo. oggi difficilmente ci sorprendiamo. gli effetti speciali c’erano già in “King Kong” nel 1933, ed erano ottimi: dopo li abbiamo solo visti migliorare (basti pensare ai livelli raggiunti 43 anni dopo con “Star Wars).

“Avatar” forse è stata l’ultima innovazione nella tecnica, la visione al cinema era effettivamente qualcosa di diverso, sebbene recuperasse una tecnologia già nota, il 3D, portandola a un altro livello. pensate quello che volete della storia che racconta e di come la racconta (sicuramente convenzionale), ma io ricordo la prima volta che lo vidi al cinema: fu un’esperienza psichedelica.

ma altrove, quando ci sorprendiamo? quando ci capita di essere di fronte a un linguaggio che dobbiamo capire, perché contiene un elemento di novità? anche sul piano della tecnica c’è una stagnazione. sì certo, le riprese aeree con i droni sono più fluide di quelle che si facevano con gli elicotteri, ma sono solo miglioramenti. certi virtuosismi oggi sono semplicemente più facili e rendono possibili anche novità sul piano concettuale che prima erano o difficili o impossibili – penso a “Athena” di Romain Gravas. ma sono aggiornamenti di pensieri già pensati. un esempio a caso: da poco mi ha colpito un piano sequenza della serie “Adolescence”, con la camera che prima cammina e poi vola sulla città e poi di nuovo cammina. ben fatta, una sequenza impossibile. ma si vedeva già in “Quando volano le cicogne” di Michail Kalatozov, un film di quasi 70 anni fa, con la memorabile sequenza in cui la camera è su un autobus con la protagonista, scende dall’autobus, segue la protagonista in mezzo alla folla e improvvisamente si alza e prende il volo. era il 1957. si trova su youtube. Kalatozov è da ricordare anche per gli impossibili piani sequenza – senza droni e stabilizzatori elettronici – di “Soy Cuba”, di qualche anno dopo, 1964 (come esempio la scena del funerale, sempre su youtube).

nella fotografia per anni hanno dominato il blu e l’arancione in modo ossessivo, oppure la fotografia alla Lubezki (non so come altro definirla). per non parlare della profondità di campo ridotta e gli sfondi sfocati, soprattutto nel cinema indie. in generale dominano convenzioni e regole cromatiche molto precise a cui, film dopo film, ci si abitua in maniera irritante.

poi, mi rendo conto di essere diventato particolarmente stronzo, ma quando vedo un campo-controcampo penso: ancora? davvero?

se pensiamo poi alle storie che si raccontano, ecco un altro problema: il cinema si è fossilizzato sulla storia, un’idea di cinema come fotoromanzo, cioè come sequenza ben ordinata di eventi, con personaggi riconoscibili, tensione narrativa, motivazioni psicologiche, conflitti chiari, e un arco narrativo da seguire come una strada asfaltata senza deviazioni.

la storia è diventata una gabbia. tutto deve raccontare qualcosa, tutto deve avere un senso, possibilmente spiegato entro il terzo atto come spiegato nei manuali di sceneggiatura e nei corsi di scrittura. anche nei film che si presentano come “d’autore”, spesso si tratta solo di fotoromanzi più lenti, più silenziosi e raffinati, ma comunque incatenati alla struttura classica del racconto (non tutti, lo so: poi lo dico). eppure il cinema non è nato solo per raccontare storie. era in primis un’esperienza visiva, sensoriale, temporale. certo, possiamo dire che anche Buster Keaton a suo modo raccontava storie, ma sicuri che fosse quello il punto?

(per dire, penso a uno dei miei film preferiti di sempre, Hong Kong Express di Wong Kar-wai, girato in 23 giorni con pochi soldi e praticamente senza sceneggiatura. certo che racconta, ma il punto di quel film è davvero la trama? e non le luci, l’atmosfera, gli spazi, gli oggetti, le canzoni? agevolo link allo storico inizio. dopotutto anche per Hitchcock, si sa, la sceneggiatura non era che un pretesto.)

rivedere “La corazzata Potëmkin” mi ha fatto pensare a modi diversissimi di rappresentare una storia. nella Corazzata non ci sono protagonisti, non c’è psicologia: c’è la massa, è un racconto collettivo. noi siamo abituati a un cinema diverso, in cui l’identificazione passa attraverso un volto, una voce, un’emozione individuale, un sè separato dal resto. ci hanno insegnato a seguire l’arco di un personaggio, le sue scelte, i suoi conflitti. nel nostro cinema saturo di eroi tormentati, di antieroi postmoderni, non c’è molto spazio per una narrazione collettiva così potente, che non abbia protagonisti, ad esempio.

lo so, forse le cose cambiano un po’ se guardiamo fuori dall’occidente. un altro cinema c’è. in alcuni contesti non occidentali, come in parte del cinema africano, sono emerse forme ibride che sfuggono ai modelli narrativi tradizionali. è relativamente nuovo e scandalosamente poco conosciuto, anche se ci sono festival anche in italia e alcune opere si trovano online, se si sa cercarle. anche in quello che per comodità chiameremo cinema asiatico (cina, corea, giappone, filippine, taiwan, thailandia, ma pure india) si stanno esplorando nuove percezioni del tempo, dell’identità e del sacro, con approcci radicalmente diversi rispetto al “nostro” modo di intendere il racconto. mi vengono in mente, tra quelli che conosco io, Sion Sono, Bi Gan, Lav Diaz, ovviamente Apichatpong Weerasethakul. molti di questi autori, tutti ormai più che affermati, hanno uno sguardo originale, ma non sempre rompono davvero il linguaggio cinematografico. molti operano all’interno di grammatiche già esistenti, anche se in modi profondamente personali. l’innovazione spesso riguarda la sensibilità, le differenze culturali o il ritmo, più che una rottura strutturale del linguaggio.

sono traiettorie sicuramente affascinanti, ma ancora in via di definizione ed è forse prematuro dire se rappresentino già delle vere reinvenzioni del cinema. ma io qui, datemi pure del normalone, quando parlo di cinema parlo soprattutto dei film che possiamo fisicamente vedere in sala, anche perché le nicchie non distribuite non le conosco abbastanza se non per qualche film che ogni tanto mi capita di scaricare. quindi sì, parlo del cinema che vede la maggior parte di noi spettatori comuni. ecco, quel cinema com’è?

il cinema oggi è come un ristorante che ha un menu che funziona e quindi non lo cambia mai. perché farlo? le persone ci sono abituate, i piatti piacciono, “funzionano”, come si dice, perché rischiare? le variazioni, se ci sono, sono minime. l’esperienza è diventata piacevole proprio nel suo essere riconoscibile. i clienti tornano proprio per quel sapore noto, per quella prevedibilità rassicurante. il gusto è codificato, le porzioni sono misurate, l’impiattamento curato secondo standard ormai consolidati. ogni tanto arriva un piatto fusion o una rivisitazione gourmet di una ricetta classica, un remake, un reboot, ma è sempre all’interno di una cornice ben definita che non mette mai davvero in discussione la forma del pasto, ovvero il linguaggio cinematografico.

oggi non si fa più un film per vedere cosa può diventare il cinema. si fa un film per replicare quello che è già il cinema.

mi si dirà: ma ci sono le eccezzzzioni! certo, grazie a dio ci sono sempre le eccezioni, e sono una dichiarazione di libertà. ma sono raramente significative e la maggior parte del cinema è quello lì, quello che segue le regole, che ripete formule, che gioca dentro i confini tracciati. la maggior parte del cinema è quella che risponde a un modello che funziona, che è stato testato, che non mette in discussione nulla di troppo grande. il pubblico vuole quello, la critica vuole quello, e l’industria vuole produrre quello. all’inizio perfino usare il digitale sembrava un abominio. eppure: pensate ai salti assurdi tra il 1927 (primo film sonoro, “Il cantante di Jazz”) e il 1939 (primi veri film in Technicolor, con colori magnifici, “Il mago di Oz” e “Via Col vento” – ok c’era già stato “Becky Sharp” del 1935, ma non è paragonabile). sono solo 12 anni. cioè chi andava al cinema in quel periodo si è beccato prima evoluzioni di regia, narrazione e montaggio (anni ’20), poi il sonoro, poi il colore. nel giro di pochi anni.

negli ultimi 12 anni voi che innovazioni avete visto? vere innovazioni, cose che sconvolgono davvero.

l’innovazione non è più al centro del cinema, che è industria e lo è anche nel cinema di nicchia e festivaliero, perché comunque anche se un film costa poco e vuole essere coraggioso, qualcuno i soldi ce li deve pur mettere: è comunque un’azienda, per quanto piccola. ma se l’innovazione non è più al centro, è forse ai margini: penso ad esempio ai videoclip, l’unico ambito dove negli anni ho trovato davvero novità, di linguaggio, di estetica, di tecnica. i videoclip sono diventati una sorta di laboratorio clandestino del cinema.

qualcuno direbbe anche i videogiochi, ed è vero che quello è un territorio interessante, soprattutto quando il cinema si ispira a quel mondo e in un certo senso si ibrida, e penso a film come “Ready Player One” di Spielberg, “1917” di Sam Mendes, “Baby Invasion” di Harmony Korine, ma anche “Flow” di Gints Zilbalodis che sembra un enorme intermezzo/cutscene di un videogioco, e ancora di più l’eccellente “Grand Theft Hamlet”, girato direttamente dentro GTA. a volte si imita più l’estetica dei videogiochi che il linguaggio, ma sarebbe interessante vedere un cinema capace di sperimentare la logica stessa dei videogiochi (un po’ era successo con la puntata “Bandersnatch” di Black Mirror). non so, immaginate di esplorare un mondo senza uno scopo preciso, con una trama totalmente random, un’esperienza principalmente sensoriale e sognante, dove anche perdersi, non fare nulla, perfino addormentarsi, una via di mezzo tra un videogioco open world e Apichatpong Weerasethakul. un cinema open world sarebbe fatto di scorci, di tempi morti, di deviazioni, di scene che non portano a niente se non alla creazione di un’atmosfera. che non narra, ma che immerge. e che magari in questa immersione, casualmente narra.

un’idea quindi può essere quella di creare degli ambienti, degli ambienti dove stare, magari immergendosi con la realtà virtuale. ad esempio io mi immergerei volentieri in un ambiente creato da Sion Sono, appunto da Apichatpong Weerasethakul, o da Gaspar Noè. si potrebbero fare anche giochi meta-cinematografici e ad esempio stare in film già esistenti, come avveniva nel folle e geniale “Steps” di Rybczyński (un gruppo di turisti entrava fisicamente nella scena della scalinata de “La corazzata Potëmkin”) o nella bellissima incursione in “Shining” vista nel già citato “Ready Player One” di Spielberg che come si sarà capito mi è piaciuto. quindi il verbo del cinema non sarebbe più guardare, ma stare.

Almodovar era stato trattato un po’ da boomer fuori dal mondo quando aveva detto una cosa secondo me condivisibile, e cioè “perché un film possa rapirti lo schermo deve essere più grande di te, e degli oggetti che hai attorno”. credo che se la prendesse con la visione casalinga sulla tv o peggio sul telefonetto, ma il concetto è giusto. ed è il motivo per cui ritengo solo delle sparate buone per i giornalisti certe dichiarazioni di registi che stimo del tipo “il vero cinema ora si trova su TikTok” (ogni tanto lo dice qualcuno, l’ultimo che mi ricordo è Korine). dai, non è vero, è vero che si trovano cose splendide e fuori di testa online, su youtube, sui social, ma non è di certo un’innovazione per il cinema. tornando a Almodovar: se l’immersione fosse totale, se grazie alla realtà virtuale potessimo stare (insisto su questa parola) dentro a un ambiente a 360 gradi, allora è come se lo schermo non fosse grande, ma infinito. ma è solo un esempio di quelle che potrebbero essere reali innovazioni nel cinema, e forse anche uno dei più banali e prevedibili.

ma insisto: questa stagnazione che io percepisco non riguarda solo il cinema mainstream, ovviamente schiavo delle logiche dell’industria, o della merda Marvel o Netflix, ma del cinema tutto – anche quello più strano, non è mai strano veramente (ok ok, ci sono le eccezzzioni). idem per il cosiddetto cinema indipendente, che è più uno stile, un’estetica, e che spesso è riconoscibile dopo due frame. pensate a un film A24, pensate allo stesso fatto che si può dire “un film A24”, cioè a quanto sia riconoscibile, prevedibile, standardizzato.

siamo intrappolati nel presente, non si vede il futuro.

non mi ricordo se è una cosa che ho pensato io o l’ho rubata da qualche parte, poco conta, però: i più grandi film della storia non sono ancora stati girati.

parentesi: non sto parlando della qualità dei film in generale, ma della loro capacità di innovare e reinventare il linguaggio cinematografico. molte persone pensano che il cinema era meglio prima, ma lo si dice di tutto, ad esempio anche della musica. e lo dicevano anche prima! però è vero che è sorprendente, ad esempio, prendere una selezione a caso dei film nelle sale esattamente 50 anni fa, nel 1975. potevate uscire di casa e andare a vedere: Profondo Rosso, Fantozzi, Novecento, Amici miei, Il portiere di notte, Salvatore Giuliano, Barry Lyndon, Dersu Uzala, Qualcuno volò sul nido del cuculo, Lo squalo, The Rocky Horror Picture Show, Nashville, Tommy, Zardoz, Picnic ad Hanging Rock, Monty Python e il Sacro Graal, Quel pomeriggio di un giorno da cani, L’uomo che volle farsi re, Lo specchio, Amore e guerra, Salò o le 120 giornate di Sodoma. sì, sono tutti del 1975. il cinema è peggiorato? è solo cambiato? non lo so, di certo la qualità c’è ancora: i buoni film e perfino i grandi film esistono ancora (che so, sicuramente notevole “La zona d’interesse”, no? ma tutt’altro che rivoluzionario). quindi per me non è questo il punto, o quantomeno non è solo questo, ma è più la capacità di inventare e reinventare. perché teoricamente si può andare avanti altri 30 anni a fare ottimi film, piccoli e grandi, ma lasciando il cinema sempre uguale. chiusa la parentesi.

dicevo: i più grandi film della storia non sono ancora stati girati.

forse questo primo secolo del cinema è solo una lunga introduzione, un prologo, un test preliminare. un po’ come le pitture rupestri lo sono state per la storia dell’arte, o i canti orali per la letteratura. e ora siamo in una fase di stagnazione, in cui il cinema sembra aver smesso di evolversi, accontentandosi di ripetere se stesso in una sorta di circolo vizioso. abbiamo esaurito le innovazioni fondamentali e ora siamo intrappolati in un loop di formule precostituite che rinforzano ciò che già conosciamo. l’arte del cinema, come l’abbiamo vista un secolo fa, sembra addormentata, forse in un coma farmacologico indotto dall’industria. si risveglierà? che film si faranno? sarà tutto intelligenza artificiale?

non ne ho idea. di sicuro il cinema è un’arte dalle enormi potenzialità in gran parte ancora inesplorate. oppure no: ha dato quello che doveva dare, abbiamo già visto il massimo e ora è un’arte che ha raggiunto il suo apice ed è fisiologico che viva una fase di stagnazione, forse anche molto lunga, forse addirittura eterna, in cui ripete se stesso. non lo so, sono due punti di vista. il cinema per evolversi ha bisogno di evoluzioni tecnologiche? non sono sicuro nemmeno di questo: in passato è avvenuto anche così, ma non solo, molte delle innovazioni più significative nel cinema sono venute da una combinazione di intuizioni artistiche e tecnologie emergenti, ma una grande evoluzione può anche avvenire senza bisogno di nuovi strumenti. quindi forse è anche semplice mancanza di coraggio? forse. ma di chi? di chi fa il cinema o di chi lo guarda?

resta la domanda: quando è stata l’ultima volta che avete visto un film e avete avuto la sensazione di vedere qualcosa di nuovo?

P.S.

per chi fosse interessato ecco il modulo “il cinema come sarebbe potuto essere” – lista secondo me interessante anche se ovviamente del tutto arbitraria e incompleta, anche perché ho scelto a) esclusivamente film che ho già visto b) film che si possono effettivamente trovare c) e ho evitato la videoarte e le cose troppo sperimentali (anche se ovviamente anche lì, proprio lì, si trovano delle gemme, ma non è un corso di cinema vero, è più il “stasera cosa ci guardiamo” del collettivo). se ne avete colto lo spirito e avete suggerimenti da integrare a questa lista sono i benvenuti.

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