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Le nutrie

A caccia di nutrie. Per arrivare al punto giusto bisogna prendere una di quelle stradine che circondano gli stagni, quelle composte da tante buche che, se solo ce ne fosse qualcuna in più, la strada sarebbe perfettamente piana. Ma grazie a dio la fiat le sospensioni le fa bene, checché se ne dica. L’erba è molto alta e in certi punti la strada sembra sbarrata, ma basta accelerare per passarci attraverso, anche se io abbasso d’istinto la testa, come se non ci fosse il parabrezza i rami e l’erba potessero colpirmi. Poi si lascia la macchina e si cammina per mezz’ora fino ad arrivare a un fittissimo, alto e apparentemente impenetrabile canneto. In realtà è stato fatto un passaggio, non so da chi, forse pescatori di frodo, ma qualcuno si è preso la briga di tagliare migliaia di canne e per 10 minuti si cammina in uno stretto tunnel dove è praticamente buio, non c’è aria, se si alza lo sguardo verso il cielo si vedono solo canne e se ci si ferma per un attimo si è circondati da miliardi di zanzare che però non pungono e si limitano a dare fastidio e a ricordare il loro ruolo in questo pianeta.

Ogni tanto lungo il tunnel c’è qualche segnale, stracci rossi legati a una canna, o il collo di una bottiglia di birra infilato in un ramo: sono i segnali dei pescatori di frodo che indicano i punti dove è possibile entrare in acqua. Come sempre do alla camminata un senso simbolico, anche dove è veramente difficile trovare un senso, anzi soprattutto dove è difficile trovare un senso. Prima del canneto si trovava qualche durex, poi diminuiscono e oltre il canneto ovviamente spariscono, perché nessuno attraverserebbe un postaccio del genere per accoppiarsi, a parte le nutrie.

Dopotutto è quello che cerco sempre: un posto dove nessuno si è mai accoppiato e non l’ha mai nemmeno pensato. Io qui voglio stare.

STARE (Latino = stare) deriva dal termine sanscrito = “STHĀ” che significa: stare fermo, stare, rimanere, esistere, essere presente, mentre come aggettivo indica: che sta, che sta fermo, situato. STHĀ dà origine al sostantivo ĀSTHĀNA che significa: posto, base, terra e al termine STHĀNA che designa: l’atto di stare fermo , posizione, condizione, grado, luogo, regione. Da STHĀNA derivano i toponimi quali : AfghaniSTAN, cioè il luogo o la regione dove “STANNO” gli Afghani e UzbekiSTAN, KazakiSTAN, TukmeniSTAN, etc., cioè le regioni abitate dagli uzbeki, kazaki, turkmeni, etc.

Alla fine del tunnel si arriva nel punto in cui il canale converge con un fiume e lo stagno. Al centro c’è un’isoletta. Ed è lì vanno a mangiare le nutrie. Sono animali crepuscolari, quindi escono soprattutto al tramonto, ma non ho capito dove stanno e cosa fanno il resto del giorno.

Qui tutti hanno un’opinione sulle nutrie. Il 90% pensa che siano da uccidere, anche se ci sono diversità di opinioni su chi deve ucciderle e come. Sembra che varie categorie facciano a gara per farle fuori. I cacciatori vogliono ucciderle. I contadini vogliono ucciderle. Anche i pescatori vogliono ucciderle. Solo i veterinari dell’asl, che dovrebbero ucciderle, non vogliono ucciderle. Anzi, mi spiegano che nemmeno le hanno mai viste. In teoria dovrebbero mettere delle trappole, poi andare a prenderle, portarle via e sopprimerle lontano da qui.

Attenzione alle parole: se vengono uccise qui, vengono appunto uccise; se viene fatto lontano da qui, vengono soppresse. E dopo – mi spiegano – vanno incenerite, immagino per questioni igieniche, ma volendo si può dare anche a questo un significato simbolico. In realtà una soluzione più sensata sarebbe mangiarle: pare non siano male e ricordino il coniglio, ma ancora una volta il problema è quella coda da ratto che ci mette dei blocchi mentali. Se non è buono da pensare non è buono da mangiare.

Ogni nutria uccisa così costa centinaia di euro allo stato, quello stato che io proprio non riesco a scrivere con la esse maiuscola, comunque avete capito quale. Questo è uno degli argomenti più forti dei cacciatori: così costa troppo alla società, fatelo fare a noi, lo facciamo gratis. Però non si capisce dove poi metterebbero i cadaveri. Questo è un problema che i cacciatori non si pongono mai. A marcire da qualche parte, è la risposta più semplice. Penso a quando gli archeologi del futuro verranno qui, in mezzo al nulla, e troveranno cumuli di enormi denti gialli di nutria, e ogni tanto qualche durex, e si chiederanno che cazzo facessero i popoli barbari del passato, soprattutto perchè a pochi passi, tra le canne, c’è anche un frigorifero che solo dio sa com’è arrivato fin qui, e soprattutto quale sia il nesso.

Il fatto che io non abbia un’opinione sulle nutrie sorprende i miei interlocutori. Io non so cosa pensarne, quindi cercano di convincermi. Le argomentazioni di chi le vuole sterminare sono le più forti, soprattutto perché il restante 10% che non le vuole sterminare, non ha vere e proprie argomentazioni. Non sanno perché non le vogliono uccidere. La questione è complessa, concludono, che è sempre un bel modo di concludere. Mentre chi non vede l’ora di ucciderle te ne parlerebbe per ore: esultano addirittura quando sui giornali esce qualche notizia sul “controllo delle nutrie”, un’entusiasmo inspiegabile che forse andrebbe studiato.

Il posto, secondo i criteri di valutazioni più diffusi, è abbastanza scomodo: bisogna sedersi tra le canne piegate o tagliate – meglio le prime perché le secondo sono appuntite e ogni 20 secondi danno l’impressione che un insetto vi stia pungendo – e a proposito di insetti: ce ne sono migliaia, di ogni tipo, ma come sempre quando ce ne sono migliaia di ogni tipo, dopo un po’ non si fa più caso. Un ragno su una mano, una formica sull’altra, dietro qualche canna si muove, forse un serpente che passa, e ovviamente nuvole di zanzare. Dopo un po’ mi sento più a mio agio che a casa mia.

E’ sempre così: dopo l’iniziale difficoltà di adattamento, mi scopro totalmente a mio agio tra larve, carcasse di animali morti e contenitori di plastica galleggianti nella melma. Sdraiati sull’erbetta verde davanti a un torrente o un ruscello dove l’acqua pulita scorre allegramente, con alberi,  cielo azzurro, nuvole e colline o montagne all’orizzonte, è facile lasciarsi andare a pensieri sulla vita, il senso dell’esistenza, l’amore e perfino dio, un po’ come capita quando si fa la doccia. Ma qui, davanti all’acqua stagnante, il putridume, le zanzare, animali che in continuazione si uccidono tra loro, decomposizione, rifiuti galleggianti, i pensieri sono di tutt’altra natura. La morte, la dichiarazione dei redditi…

Dopo un po’ si sente il suono di qualcosa che si tuffa in acqua. Inizio a guardarmi intorno ma a parte i tantissimi uccelli non si vede niente. Poi appaiono le prime nutrie. Fanno schifo. Le ho viste tante volte nelle città ma sempre di sfuggita. In sostanza sono dei grossi ratti d’acqua. Subito mi viene detto che fanno schifo solo per quella grossa coda che ricorda i ratti, ma in realtà sono come dei castori. Il punto è che anche i castori secondo me sono dei grossi ratti d’acqua e fanno schifo. Dopo un quarto d’ora credo di aver capito tutto sulle nutrie: mangiano, si tuffano in acqua, poi riemergono e mangiano ancora e a volte si grattano mentre continuano a mangiare. Non fanno altro, a quanto pare. Mi viene detto che a volte hanno aggredito l’uomo, ma lo fanno quando hanno i piccoli. O almeno così si dice. Mi viene detto anche che le nutrie sono nella lista dei 100 specie invasive più dannose al mondo. Tornato a casa cerco su Wikipedia e intanto scopro che questa classifica esiste davvero, e poi che sì, le nutrie ci sono. Scopro anche che sono caratterizzate dalla seguente formula dentaria:

I\frac 1 1 C\frac 0 0Pm\frac 1 1 M\frac 3 3 \times 2 \,=\ 20

E’ una classifica interessante. Ci sono anche le capre, i gatti e le lumache. Praticamente tutti i miei animali preferiti. La storia di come le nutrie si siano diffuse da noi nei fiumi e nei canali, anche in città, è molto interessante. Il concetto di molto varia a seconda di quanto tempo siate seduti in una posizione scomoda tra le canne e le zanzare. Io ci sono stato abbastanza da trovare la storia della diffusione delle nutrie interessantissima. Riassumendo: servivano le per le pellicce, ora non servono più e quindi sono un problema.

Accovacciato così, con uomini grossi e virili, tra il caldo insopportabile, le canne e le zanzare, mi sento come un soldato in un film sulla guerra del Vietnam. Però qui non si può fumare, dato che potrebbe prendere fuoco tutto e allora non sarebbe così divertente come il Vietnam, o forse sì. Mi chiedono ancora una volta cosa ne penso delle nutrie, nonostante mi sia già stato chiesto venti volte e abbia risposto sempre non lo so. Forse è giunto il momento di improvvisare un’opinione. Penso che io in realtà tifo per le nutrie, come tifo per qualsiasi che destabilizzi il finto equilibrio. Sogno che le nutrie prendano il sopravvento e invece di rubare negli orti, scavare gallerie e aggredire cani, inizino a entrare nelle case, trascinare via i neonati dalle culle e mangiarli vivi nel canneto. Nutrie che marciano nelle autostrade, conquistando prima le periferie e poi i centri delle città. Quindi dico: sicuramente è un problema, vanno controllate, però la questione è complessa. E’ la risposta più semplice, viene tollerata anche se non compresa, dato che tutto ciò che non è entusiasmo per la morte non viene facilmente digerito. Rivaluto l’ipotesi delle nutrie che rapiscono i neonati, anche lì c’è l’entusiasmo per la morte, ma decido – per ora – di tenermela per me.

Alla fine le nutrie le guardiamo e basta. E’ quel genere di animali che non si capisce dove si trovi bene. Sulla terra sembra che non vedano l’ora di andare in acqua, poi in acqua nuotano in modo ridicolo, tenendo la testa e a volte la coda fuori, come se l’acqua gli facesse schifo, e allora tornano sulla terra. Si grattano, mangiano erba, si guardano intorno, con questi grossi denti gialli del tutto fuori luogo. Mi sento come le nutrie? No, per carità. Mi sento come le larve che galleggiano sulle zattere di fango nelle pozzanghere. Uno mi dice che quelle che vediamo sono piccole, anche se a me sembrano le più grandi che abbia mai visto, e si favoleggia di nutrie grandi il doppio. Classiche leggende da cacciatori o pescatori. Di qualsiasi animale, c’è qualcuno che l’ha visto grande il doppio o il triplo. “Di solito escono da quel buco” mi dice uno. Lo fissiamo per mezz’ora ma non esce niente. Torniamo nel tunnel.

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Lo schizofrenico alcolista

beve solo in compagnia.

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Differenziata: un giorno o l’altro mi farò a pezzi e mi butterò nell’umido, mettendomi fuori nel giorno della plastica.

Crescendo: dipende, ce ne sono di tre tipi: quello rossiniano, il migliore; quello di quando tutti i tuoi vecchi amici o si sposano o fanno figli o cercano “stabilità”; poi c’è il terzo, il peggiore, che è tanto brutto che manco si può dire.

Stabilità: sapere sempre dove e come uccidersi. O a chi mandare una mail.

Purtridume: una delle mie parole preferite della lingua italiana, forse proprio la mia preferita. e niente, ce la volevo mettere.

Polpo: uno degli animali più intelligenti e belli che ci sono e, per sua sfiga, anche uno dei più buoni da mangiare. se si aggiunge una T alla fine è un’altra cosa.

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Tutti sanno dell’inizio ma nessuno può parlare della fine

http://www.youtube.com/watch?v=73LZoDK1kRQ

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L’imprevedibile (sempre sulla teoria della pizza sbagliata)

La cameriera che, dopo l’antipasto, la pizza e il dolce, si presenta al tavolo e chiede “Terminator?”. O almeno così ho capito io sperando in una interessante svolta della serata. Comunque, se dovessi scegliere, sicuramente direi il secondo Terminator.

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Prevenzione: bere prima di partire, perchè bere mentre si guida è pericoloso.

Fotografia: riproduzione fotografica di te che degli sconosciuti vedranno anni dopo sulla tua lapide e diranno “ma che brutto questo, venite a vedere questo, ahah ma poi che nome aveva? troppo brutto”.

Amore: in estate i rovi diventano qualcosa di più di posti scomodi dove cadere in bicicletta, quindi si può andare a raccogliere dei deliziosi per quanto imperfetti frutti, le more. e si dice appunto: andare amore.

Plugin: una parola che non avreste mai pensato di pronunciare prima del 2004. ora vi capita almeno una volta a settimana e una lacrima invisibile scorre sul vostro viso pensando a tutto il tempo passato e soprattutto a quello che deve ancora passare, chissà quanto poi.

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La sobrietà (seconda parte)

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La sobrietà

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Attivismo

poi non dite che io non mi interesso alla politica. ogni volta che leggo “Questo commento ha ricevuto troppi voti negativi” su youtube, clicco su “non è spam”, senza nemmeno leggere. è una questione di principio.

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Tanto gentile

tra i confessi insegretabili, ne ho uno davvero di difficile inspiegazione: una perversione preoccupante per “tanto gentile e onesta pare” di dante. che poi dante fa cagare, ma così: per un fatto politico. tipo beatles merda, o basta con la rucola. eppure, davvero: non resisto a quei versi. sospiro.

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Stasera va così

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Insonnia: quando controlli l’ora e sono le 3.30, passa mezz’ora e sono le 3.32, allora dici “guardo un film”, ma il film fa cagare.

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Wintergarten

(siccome mi pare che il caldo sia definitivamente tra noi, mi sembra giusto portare una ventata di fresco e incollare qui una selezione di post di una specie di allegrissimo diario invernale che avevo aperto su tumblr in uno di quei periodi che ci siamo capiti benissimo, è inutile aggiungere altro.)


1. saigon, sono ancora soltanto a saigon

altre vette di insoddisfazione, inadeguatezza, delusione e malessere. sono le mie olimpiadi.

vado a una fiera gastronomica e non mangio nulla. ho detto 35 volte “no, grazie” e una decina di volte ho fatto solo no con la testa.

ho parlato di iran quando non c’entrava niente.

prendo il primo treno possibile, tutto in salita, fila alla macchinetta, sul treno finisco di fronte alla solita coppietta, musica noise nelle orecchie, occhi sul libro, mi sembra di avere 16 anni. nel riflesso del finestrino li vedo baciarsi, tolgo un attimo le cuffie e sento rumore di labbra altrui, e davvero non c’è niente di peggio, niente, del rumore di labbra altrui.

nel riflesso del finestrino faccio sempre succedere di tutto, scortico gente, faccio smorfie, incendio cose, un omaggio a quelle terrificanti allucinazioni intercity del 2006, uno dei pochi momenti di vero autentico terrore della mia vita.

57 minuti dopo scendo dal treno, decido di andare via a piedi, molto molto freddo e molto vento, ma ne ho bisogno. cammino velocissimo, metto i piedi nelle pozzanghere, poi inizia a piovere, metto il cappuccio per la prima volta, mai usato prima questo cappuccio, che comunque si rivela poco efficiente, vedi a spendere poco.

poi smette di piovere e inizio perfino ad avere caldo, 30 minuti dopo arrivo a destinazione.

mangio una carruba.

2. dimenticavo

mai andare a queste cose di solidarietà. gente rompipalle, clown di corsia che ti chiedono soldi simpaticamente, però intanto te li chiedono, tutti molto aggressivi, vaffanculo, metti una firma qua, appelli, stronzate. meglio i parcheggiatori abusivi. viva i parcheggiatori abusivi.

3. classico

vecchio amico di internet mi scrive per chiedermi se ho sfruttato il mio talento, cose così. mia risposta lunghissima e deprimente, tasto invia e pentimento lento.

come ciaicoschi: pathètique, adagio lamentoso.

4. Crema

sono andato a comprare creme di olive e di carciofi in un’azienda agricola qua vicino. signora di campagna, di quelle durissime e molto sveglie. dice che il marito è stato ricoverato ieri, roba di fegato, “e chissà se uscirà dall’ospedale”, ma lo dice senza alcun dramma, assolutamente fatalista. “dopotutto ha una certa età, diciamo che ha vissuto”. amo queste vecchie di campagna. allo stesso tempo mi fanno paura. si vede che potrebbero staccarti la vena giugulare a morsi.

5. cappuccio

è ufficiale: ho la passione del camminare in città al buio quando fa brutto tempo. dico in città perchè in campagna non si può perchè non c’è l’illuminazione. diciamo che quello è un altro livello ancora. per ora sono al livello che mi piace attraversare la città col freddo e la pioggia, cappuccio in testa o ombrello, sciarpa, se la temperatura lo richiede anche guanti. la cosa più importante però sono i piedi: bisogna tenerli caldi e asciutti.

in generale.

6. nuatuale

a noi anziani capitano cose così: ti cade la dentiera a terra e si rompe, ma non puoi andare a rifarla perchè hai un piede gonfio e non puoi camminare. allora chiedi il favore a qualcuno ma nessuno ti caga perchè è quasi natale e hanno tutti cose da fare. allora fai telefonate per lamentarti/chiedere aiuto. poi però bevi cynar e ridi da solo davanti alla tv e alla fine ma sì, fanculo, e dopotutto il cynar ha le vitamine e quindi hai risolto anche il problema del mangiare.

7. Però

una che mi sbatterei all’infinito fino a spellarmi il cazzo e anche dopo: sabrina impacciatore.

8. Colon

vicino alla clinica incontro la mamma di B. non la vedevo da 10 anni, fingo di non riconoscerla subito, ma poi sorridiamo a vicenda e sono costretto ad avvicinarmi mentre entrambi pensiamo “ma che cazzo di sfiga, mi ha riconosciuto”.

lei è seduta al volante della sua macchina. non scende, quindi parliamo attraverso il finestrino. esordisco bene, le faccio perfino un complimento sul suo decente stato fisico, poi la conversazione prende una prevedibile piega grottesca. lei mi guarda come mi guardava 10 anni fa, con pietà e forse compassione. è uno sguardo che avevo dimenticato. mi ha sempre guardato così.

è felice del figlio perchè lavora dalla mattina fino alla notte, e tu invece? mi chiede. stai lavoricchiando? dice così: lavoricchiando.

annuisco, sorrido e dico qualche banalità, al che lei mi fa notare che sono troppo magro. lo dice con un’espressione di commiserazione che mi fa venire voglia di scappare. quindi mi chiede come sto, come se però sapesse già la risposta, come se l’avesse sempre saputa, anche 10 anni fa, tanto che decido di essere sincero.

non le do un bene-standard ma mi lagno per 5 minuti come non avrei mai pensato di fare fino a un minuto prima. alla fine ci salutiamo e mi allontano con il solito desiderio di riavvolgere la conversazione appena avvenuta e cancellarla, ma ormai è troppo tardi.

***

proprio qualche settimana fa, prima di parlare con sua madre, avevo incontrato B. e avevamo bevuto qualche birra. un incontro poco interessante e inutile da raccontare, ma ora sono costretto a rivalutarlo in seguito a questo secondo incontro.

da ciò che sa la madre è evidente che B. ogni volta che ascolta i fatti della mia vita e annuisce prova per me ciò che prova la madre, e cioè pena, tristezza, compassione, sentimenti che poi comunica al resto della famiglia… e così capita che le conversazioni da cancellare si moltiplichino senza limite in questa sceneggiatura completamente sbagliata, assolutamente da riscrivere.

9. Prolasso

è il terzo cane che conosco che ha avuto un prolasso vaginale. quanti ancora potrò conoscerne da qui alla mia morte? quanti saranno in tutto? cosa vuol dire?

10. Hanno ucciso mio padre, e il tuo?

i figli delle vittime del terrorismo. ormai è una vera e propria lobby. in italia non c’è nessuno che abbia tanto spazio quanto loro. tv, libri, giornali, sono ovunque. oltretutto spesso utilizzano questo spazio semplicemente per dire che non ne hanno abbastanza e che ne vorrebbero di più. non bisogna fare silenzio, non si può dimenticare e le solite altre frasi e intanto sono sempre lì a parlare e a farci sentire in colpa. è un’elaborazione del lutto che diventa istituzione. forse è il momento di dare spazio ai figli dei terroristi.

11. Lunedì

in tv ahmadinejad. mi sento vicino a lui. ha perfino gli occhiali da vista oscurati (come si chiamano? fumè? flambè?), quelli che pensavo di prendere ma poi ho cambiato idea perchè avevo paura di sembrare un designer di interni di città, uno stilista di milano e in generale una checca. e invece guardalo, a discutere di nucleare. come al solito il 70% del suo discorso lo trovo condivisibile. atomi, acciaio e malattie. annuisco più volte, alla fine cambio canale, come faccio sempre quando sono troppo d’accordo con quello che sento. è che ho bisogno di stupore, mistero, meraviglia, il resto non mi interessa. ho imparato che lo stupore può anche manifestarsi in forma di delusione, ovvero l’assenza di una prevista meraviglia. ad esempio ieri all’orto botanico ho cercato a lungo l’albero fiamma, mi son perso per ore tra piante carnivore e succulente, odorose e pelose, oscenamente colorate o aridamente spinose, cactus, palmeti, conifere, papaveri da oppio, piante striscianti, radici tentacolari, foglie a forma di cazzo con le spine, piante officinali, ficus ubiscus puscus hocus pocus cous cous ecc. ecc. per poi scoprire che l’albero fiamma era un albero come tutti gli altri e che c’ero passato sotto più volte senza notarlo perché in questo periodo non è rosso ma verde, cioè come tutti gli altri. e in ciò consiste la meraviglia. l’albero fiamma non era bello come mi aspettavo, ma brutto come non mi aspettavo, il che è molto meglio. questa è una regola per il vivere felici, segnatevela. inoltre sono ormai certo di non riuscire a comunicare con chi non soffre. o meglio, ci riesco, ma devo fingere, ed è una gran fatica. con chi soffre invece c’è una comunicazione spontanea, diretta, perfino reale, non penso prima a cosa dire, non mi faccio distrarre dai denti, dai movimenti degli occhi, dalla lingua sulle labbra o altro… c’è semplicemente quello che dicono loro e quello che dico io. mi interessa davvero ciò che dicono e mi piace molto. con tutti gli altri mi annoio, con qualcuno di più, con qualcuno di meno. una gita di 3 giorni a barcellona assicura ore di conversazione per anni, con la gente normale. non c’è altro da aggiungere, qualche concerto, aneddotica universitaria, raramente libri, più spesso film, politica le solite cose e quanto è buono quel kebab… la distanza è ormai da anni incolmabile. dovevo parlare di ahmadinejad e del fatto che vorrei cavare gli occhi agli amanti in treno, ma per ora basta così.

12. Life during wartime

domenica, personale di un giovane artista al teatro civico. pompa magna, il comune ha speso e si vede. graziose signorine all’ingresso, il nome del giovane artista su un grosso pannello di legno, e tutto ciò che ne consegue. le sue cose non sono nemmeno male, opere d’arte realizzate con materiali di scarto + ammiccamenti insensati all’immaginario collettivo nerd (ma ciò che li rende interessanti è proprio l’insensatezza). siccome è lì ci scambio due parole, sento i prezzi, trasalisco, gli chiedo dettagli tecnici ma lui è sfuggente, come da copione. esco. fuori decine di bancarelle con persone qualunque che espongono le cosucce da loro realizzate: maschere, collanine, pupazzi, giocattoli e altre tenerezze personali che uscite dalle loro case rivendicano ora un improbabile riconoscimento. ovviamente, nessuno li caga. gli stessi che pochi metri prima ammiravano il giovane artista snobbano questi piccoli artigiani e passano oltre in cerca di un gelato. me compreso. la situazione mi sembra emblematica: si trovano a pochi metri di distanza, un po’ come i gatti sulla strada e i topi nelle fogne. perché lui? perché il giovane artista non ha una bancarella come tutti gli altri? perché lui dice millessette e nessuno ride mentre con quei disperati si tira il prezzo per arrivare a due o tre euro? penso che è un sistema crudele, ma anche che è così che funziona. qualcuno sì, qualcuno no. poi a casa scopro che anni fa il giovane artista ha preso parte a un noto spot pubblicitario e improvvisamente tutto torna ed è domenica sera e c’è report a confermare.

13. A morte Margherita Buy

comunicaz. di servizio: margherita buy NON è una grande attrice e fa sempre la stessa parte, accusa che invece viene rivolta a monica bellucci, che almeno è bellissima ma non è scarsa come dicono. il 90% delle donne odia la bellucci perchè è bellissima e considera margherita buy un’attrice eccezionale proprio perchè anonima, insicura e mediocre come loro. profez. maya di servizio: il prossimo grande film italiano avrà come protagonista la bellucci. a morte la buy. buy nothing day. e nel 2450 si studierà la bellucci nelle scuole durante l’ora di religione.

14. Sexo & Chili Masnade (in technicolor)

alla fine è tutto cominciato così: la prima volta che l’ho fatto avevo decine di punti in tutto il corpo e ogni movimento mi faceva disperare. forse per questo mi sembra normale. ieri prima di uscire mi sono fatto un’iniezione intramuscolare e dopo, oltre a tutto il resto, mi faceva male anche il culo. non so, forse era meglio mettere una pomata. comunque come diceva il poeta arabo Nazim Shaddad, meglio soffrire perché si è goduto piuttosto che godere perché non si è sofferto (a lui però penso piacesse prenderla nel culo).

15. La macchina

ma il mio non è un problema con la gente, con le persone, con i loro corpi, anzi. spesso mi diverto a immaginare scenari post-atomici dove muoiono tutti e resto solo io e alcuni scelti da me. di solito faccio una lista delle persone che salverei. inizio salvando un dentista, poi anche un medico chirurgo e continuando con questo ragionamento finisco sempre per salvare tutti. l’umanità speri di eliminarla tutta e alla fine ti ritrovi a salvarla. o tutti o nessuno. in realtà non si dovrebbe avere il tempo di prendere simili decisioni. ci vorrebbe una deflagrazione improvvisa che lasci senza fiato. rialzarsi sotto le macerie, scrollarsi di dosso la polvere e trovare immediatamente un riparo, senza il tempo per pensare. se invece non riesci a liberarti dalle macerie allora addormentati, copriti di cocci e mattoni, come se ti rimboccassi le coperte.

ogni domenica sera mentre torno a casa in treno vedo i fuochi d’artificio e immagino di essere sotto attacco, i binari che saltano in aria, un boato metallico, il fuoco. non è mai così, di solito sono solo i festeggiamenti per qualche santo patrono. il mio treno non deraglia mai, l’evaporazione è inevitabile e anche a me piace passeggiare tra le barche del porto tenendola per mano.

16. Cadono pietre

grazie al viaggio in treno con i tifosi del cagliari ho scoperto che agli ultras piace indossare magliette con i nomi di persone morte, credo loro amici ultras. le facce sono tutte uguali, da potenziali militari esplosi a kabul, lavoratori, gente che si sta sempre per sposare. in treno tira un’aria da ultima ora alle industriali, un clima che non sentivo da anni e forse un po’ mi mancava – stronzate. progettano oktober fest e altri viaggi che non faranno, ma non parlano mai di donne. a sorpresa invece parlano soprattutto del lato economico del calcio. un energumeno tatuato fa una tirata sui bilanci delle società e sulle cessioni sbagliate, dice perfino parole che io non capisco. in generale però mi sembrano cafoncelli schiavi dei propri bisogni più elementari. mangiano e bevono, si alzano in continuazione per andare a fumare, si danno schiaffi per gioco, pacche, spinte, uno dice all’altro che gli deve dire una cosa e gli rutta nell’orecchio, poi di nuovo mangiano, bevono e fumano, e questo in un viaggio che dura poco più di un’ora che io passo immobile come una pietra, in uno stato di semicoscienza, come faccio sempre in treno.

17. Esperienza professionale

B. è quello che conosce la gente morta. conosceva il parà morto oggi a kabul e anche il ragazzo morto sabato scorso in un incidente stradale a due passi da casa mia. di quest’ultimo mi ha illustrato anche i dettagli.

è morto perché nello schianto una costola gli ha bucato il polmone. ma il corpo era integro, non aveva nemmeno un graffio.

B. pochi giorni dopo l’incidente è perfino andato a casa della famiglia del morto, per motivi di lavoro.

io pensavo che l’avesse fatto per toccare la morte da vicino, per sentire l’odore di parente morto e vedere che effetto fa. ma mi ha detto che l’ha fatto perché secondo lui poteva essere un’esperienza professionale utile.

sotto questa nuova ottica devo riconsiderare tutti i suoi precedenti discorsi sul lavoro.

18. “PANINI TOAST FANTASIA”

scritta adesiva vista sulla vetrina di un bar. fuori c’era un tipo che scatarrava.

19. Liberate il serpente

in treno quando non c’è nessuno da osservare a volte gioco a snake.

il serpente si muove in un’area delemitata corrispondente allo schermo monocromatico del mio cellulare da 98 x 68 pixel. nel suo piccolo mondo puntiforme non si può mai stare fermi: il serpente è costretto a muoversi in continuazione, facendo attenzione a non andare contro il perimetro dello schermo, la fine del suo triste mondo.

a rendere questa situazione ancora più opprimente c’è il fatto che a decidere la direzione non è lui, ma noi che giochiamo. questo carica noi di responsabilità e il serpente di disperazione, perché la durata di questa agonia dipende solo da noi, oscuri e distratti giocatori.

apparentemente l’unico scopo del serpente è quello di mangiare il cibo che appare a intervalli regolari nel piccolo mondo-scatola. il cibo è rappresentato da piccolo sfere dall’aspetto lucido e invitante, secondo alcuni simili a ciliegie ma in realtà secondo me – un paio di mesi di catechismo sono bastati – più simili a delle mele.

ogni volta che il serpente mangia le mele diventa più grande: la coda si allunga e il suo piccolo mondo monocromatico diventa sempre pià opprimente, un po’ come succede ad alice quando beve la pozione dal sapore di ciliegia.

così come il serpente biblico aveva causato la cacciata degli umani dal paradiso con una mela, ora è condannato per l’eternità a cibarsi di queste mele senza alcun motivo apparente se non quello di ingrassare in una piccola scatola che invece non varia le sue dimensioni.

a volte, nel tenativo di salvarlo, ho deciso che avrei fatto in modo che evitasse di mangiare il cibo, ma così facendo il gioco non va avanti, si cade in una fase di stallo senza soluzione e dopo un po’ si è costretti ad andare incontro al destino ineluttabile. a complicare le cose c’è il fatto che il serpente, man mano che cresce, anche il suo stesso corpo diventa letale e scontrarsi contro la sua stessa coda significa morire

quando le dimensioni del serpente coprono quasi tutto lo spazio disponibile assume l’aspetto di un complicato labirinto. io non ci sono mai arrivato perché di solito smetto molto prima. in treno dopo 5 minuti il senso di claustrofobia e di angoscia si faceva troppo forte e lanciavo il telefono sul sedile. ma dopo un minuto scarso riprendevo la partita, per poi interromperla di nuovo. liberate il serpente.

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Il grande assente

parlavo con un prete, per motivi lunghi da spiegare, e ovviamente si è finito per parlare di grillo. il prete mi diceva: “ma ha visto? è sempre contro la tv, ma alla fine è sempre in tv. altro che web, è per la tv che ha così successo. infatti i suoi hanno votato una della tv come presidente della repubblica! lui non c’è e proprio per questo si parla tanto di lui!”. al che io, convenendo con la sua analisi banale eppure esatta, avrei voluto rispondere: “ma certo, è la strategia del grande assente: come dio!”. solo che mi sono fermato a “ma certo”.

in generale potrei riassumere così gran parte delle mie interazioni con le persone: ma certo {lunga parte che non dico e che poi scriverò da qualche parte su internet}.

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Educazione tibetana

Un pittore che svolgeva la sua attività principale decorando templi, spesso rappresentava fantastici esseri con il corpo umano e la testa di animale, come si suppone siano gli aiutanti di Shinje. Il figlio del pittore, che era ancora molto giovane, spesso stava accanto al padre mentre questi lavorava si divertiva a guardare i mostri che mano a mano apparivano nell’affresco. Accadde che il ragazzo morì ed entrando nel “Bardo” incontrò le terribili immagini che gli erano familiari. Tutt’altro che spaventato egli cominciò a ridere: “Ah! Io vi conosco tutti! Mio padre vi ha dipinti sulla pareti”, disse e cercò di mettersi a giocare con loro.

(da “Mistici e maghi del Tibet” di Alexandra David-Néel. il Bardo non è Shakespeare, ma lo stadio intermedio tra vita e morte, quando la coscienza si separa dal corpo, o quando l’acido vi becca male. avevo in mente anche un post dal titolo “educazione nana”, con la foto di un nano super tatuato e il sottotitolo “la storia di un nano troppo cazzuto e pieno di tatuaggi che fa cose troppo cazzute e piene di tatuaggi” ma non ho trovato l’immagine adatta. come se l’avessi fatto.)
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Abbiamo il coraggio di dirlo

Per dire: mio nonno alla mia età aveva fatto la guerra e due figli e io invece me ne sto in casa a bere e fare headbanging da solo davanti al computer.

Nonno: ERI UN COGLIONE.

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Rot

In pratica diventare adulto consiste nell’invecchiare fisicamente e rendersi conto che a 17 anni avevo già ragione su tutto. Per dire: gli stessi pezzi metal che ascoltavo a quell’età e che mi apparivano un po’ ingenui e pensavo “chissà, da adulto riderò di questo momento”, oggi mi sembrano perfettamente sensati. Alla fine è questo il senso della vita: il metal aveva ragione.

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Ricordatevi che si parte sempre da dormire.